A volte arrivi ad un film per
caso, a volte su consiglio. A Stay ci
sono arrivata grazie all’attore protagonista: Ryan Gosling.
Che la mente umana sia complessa
e talvolta difficile da comprendere si sa. E l’immagine del labirinto (magari
uno di quelli in cui dentro ci corre un topino bianco disperato perché non
trova la via d’uscita e finisce per restarci!) mi è sempre sembrata perfetta
per rendere l’idea!
Stay è un film di quelli che solitamente definisco “allucinati”.
Inizia tutto con un incidente
stradale, un ragazzo che si alza ed una storia che comincia.
Henry è ossessionato dall’idea di
aver ucciso i suoi genitori. Sarà questo il motivo che lo spingerà ad andare in
terapia dal dottor Sam Foster. Tra i due si instaurerà una strana dinamica:
Henry confessa a Foster la sua intenzione suicidaria, programmata per il sabato
seguente, giorno del suo ventunesimo compleanno. E per Foster diventa una corsa
contro il tempo nel tentativo di salvare il ragazzo.
A volte si ha come l’impressione
che in realtà tutto quello che sta avvenendo sia a metà tra un sogno del dottor
Foster ed una sua imminente follia delirante. Non si capisce quanto di reale ci
sia in Henry. Avete mai visto The Others
con la Kidman? Ecco, quella è la sensazione che si ha in certi momenti; che
tutto ciò che stai guardando non appartiene a questo mondo.
È la scena finale a rivelare come
stanno le cose: il film non è altro che il delirio onirico di un uomo morente.
Henry, in realtà non si è salvato dall’incidente, ma rimasto gravemente ferito,
giace sull’asfalto attorniato da tutti i personaggi che hanno popolato il suo
viaggio pre-morte.
Un po’ Lost style. La scena finale è pressoché identica: il protagonista
riverso a terra con lo sguardo perso nel vuoto ed il mistero che viene svelato.
Magistrale Ryan Gosling. Avevo
avuto dimostrazione della sua bravura già in altri film, e qui non si smentisce.
Sempre impassibile ed apparentemente monoespressione,
si rivela di un’intensità toccante.
Ottima anche l’interpretazione di
Ewan McGregor, divenuto famoso per il ruolo, decisamente più leggero, di
Christian in Moulin Rouge. Mai
eccessivo, intenso, riesce a farti vivere la stessa ansia e le stesse paure che
vive lui. La sua apparente pazzia diventa la tua. Più che con gli occhi di
Henry è con i suoi che vivi l’intera storia.
Nel complesso è godibile,
nonostante la trama non semplice né prevedibile; quando pensi di aver capito
vieni immediatamente smentito. E probabilmente è proprio questo che ti cattura e
ti spinge a vederlo fino alla fine.
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