Due sono gli elementi che a primo
acchito non capisci: il titolo del film e la locandina.
American Beauty ha un nonsochè di
romantico, crea nell’immaginario medio l’idea di una storia d’amore, magari
quelle turbolente ma che finiscono bene.
Poi, però, ti ritrovi davanti la
locandina a metà tra Moulin Rouge e una vecchia foto di Marilyn su Playboy, e
la cosa ti spiazza non poco.
Inizia a guardare il film senza
troppe pretese, nonostante chi lo ha visto prima di te e conseguentemente
consigliato, lo ha definito un capolavoro.
Jane è la classica adolescente in
crisi, che odia se stessa, la famiglia ed il mondo intero. Ed esprime il
desiderio che ogni adolescente, senza troppe ipocrisie, almeno una volta nella
vita ha espresso: voglio uccidere i miei. Di solito le figlie, nel pieno rispetto
del complesso edipico, vorrebbero uccidere la madre per ottenere le attenzioni
dell’uomo che, per eccellenza, domina la vita di ogni donna: il padre. Ma qui
le teorie freudiane si capovolgono e i propositi omicida sono rivolti al padre,
all’oggetto posseduto che riversa le sua attenzioni su un’amica della figlia.
Le premesse sono confermate dalla
voce fuori campo di Lester che ci preannuncia la sua morte.
Quella presentata, più che la
perfetta famiglie in stile Mulino Bianco, è la famiglia che la maggior parte di
noi ha: due genitori che non comunicano più, stanchi l’uno dell’altro, il cui
amore si è perso chissà dove. Una famiglia le cui cene sono riempite da silenzi
ingombranti o da urla ingiustificate. Carolyn è la classica donna maniaca del
controllo che rovina il primo momento, dopo anni, di intimità col marito
rimproverandolo di star per versare la birra sul divano. Eccessivamente attenta
all’immagine di sé che viene percepita dagli altri “fondamentale per il suo
lavoro”. Ma il suo perbenismo e la sua rigidità non le impediscono di tradire
il marito, perché si sa che quando ci sentiamo desiderate, noi donne non
capiamo più niente!
Lester è l’apparente anello
debole della storia. Apparentemente perché in realtà è l’unico che finisce per
liberarsi dalle convenzioni sociali e tirarsi fuori dal ruolo che gli altri gli
hanno imposto di recitare, e tornare ad essere sé stesso. Molla il lavoro, si prende cura di se e comincia a
vivere la vita che ha sempre voluto.
Parallelamente la storia di un’altra
famiglia ci viene raccontata, quella di Ricky,che prima spia Jane, filmandone
ogni mossa, e poi ne diventa il fidanzato. Un ragazzo che ha per padre un
colonnello dell’esercito omofobo che gli impartisce la disciplina a suon di
pugni, sposato ad una donna completamente sua succube.
Le vite delle due famiglie si
intrecciano inevitabilmente: Ricky diventa il ragazzo di Jane ed il pusher di
Lester. E sarà proprio questa sua “attività” che porterà alla morte di Lester. Una
morte con tanti potenziali assassini: la vicenda si è talmente complicata che
non è più solo Jane a volere l’uomo morto, ma anche Frank, che crede che l’uomo
costringa il figlio Ricky a rapporti omosessuali, e Carolyn che, scoperta dal
marito, viene lasciata dall’amante.
Lester, silenzio, ricordi che gli
fluttuano in testa guardando una vecchia foto, colpo di pistola. Immagini,
formuli ipotesi su chi possa essere stato e la risposta è, davvero, la meno
scontata…
Le aspettative non sono state
deluse. Il film è davvero ben fatto, la sceneggiatura non è mai scontata.
I personaggi sono ben definiti e fanno si che lo spettatore, a seconda del sesso
o dell’età, possa identificarsi.
Evidente la critica alla “bellezza”
delle famiglie americane, solo apparente e condizionata dall’idea che in America
sia tutto perfetto. In realtà, per quanto banale sia, “tutto il mondo è paese”.
“È una gran cosa quando capisci che hai ancora la capacità di
sorprenderti ti chiedi cos'altro puoi fare che hai dimenticato!”
La busta di plastica e il dialogo sulla bellezza del mondo: una delle scene che amo di più!
RispondiEliminaBaci,
miss F.
Hai ragione, quella scena è da brividi!
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