martedì 24 luglio 2012

American Beauty – Sam Mendes (1999)


Due sono gli elementi che a primo acchito non capisci: il titolo del film e la locandina.

American Beauty ha un nonsochè di romantico, crea nell’immaginario medio l’idea di una storia d’amore, magari quelle turbolente ma che finiscono bene.

Poi, però, ti ritrovi davanti la locandina a metà tra Moulin Rouge e una vecchia foto di Marilyn su Playboy, e la cosa ti spiazza non poco.

Inizia a guardare il film senza troppe pretese, nonostante chi lo ha visto prima di te e conseguentemente consigliato, lo ha definito un capolavoro.

Jane è la classica adolescente in crisi, che odia se stessa, la famiglia ed il mondo intero. Ed esprime il desiderio che ogni adolescente, senza troppe ipocrisie, almeno una volta nella vita ha espresso: voglio uccidere i miei. Di solito le figlie, nel pieno rispetto del complesso edipico, vorrebbero uccidere la madre per ottenere le attenzioni dell’uomo che, per eccellenza, domina la vita di ogni donna: il padre. Ma qui le teorie freudiane si capovolgono e i propositi omicida sono rivolti al padre, all’oggetto posseduto che riversa le sua attenzioni su un’amica della figlia.

Le premesse sono confermate dalla voce fuori campo di Lester che ci preannuncia la sua morte.

Quella presentata, più che la perfetta famiglie in stile Mulino Bianco, è la famiglia che la maggior parte di noi ha: due genitori che non comunicano più, stanchi l’uno dell’altro, il cui amore si è perso chissà dove. Una famiglia le cui cene sono riempite da silenzi ingombranti o da urla ingiustificate. Carolyn è la classica donna maniaca del controllo che rovina il primo momento, dopo anni, di intimità col marito rimproverandolo di star per versare la birra sul divano. Eccessivamente attenta all’immagine di sé che viene percepita dagli altri “fondamentale per il suo lavoro”. Ma il suo perbenismo e la sua rigidità non le impediscono di tradire il marito, perché si sa che quando ci sentiamo desiderate, noi donne non capiamo più niente!

Lester è l’apparente anello debole della storia. Apparentemente perché in realtà è l’unico che finisce per liberarsi dalle convenzioni sociali e tirarsi fuori dal ruolo che gli altri gli hanno imposto di recitare, e tornare ad essere sé stesso. Molla il  lavoro, si prende cura di se e comincia a vivere la vita che ha sempre voluto.

Parallelamente la storia di un’altra famiglia ci viene raccontata, quella di Ricky,che prima spia Jane, filmandone ogni mossa, e poi ne diventa il fidanzato. Un ragazzo che ha per padre un colonnello dell’esercito omofobo che gli impartisce la disciplina a suon di pugni, sposato ad una donna completamente sua succube.  

Le vite delle due famiglie si intrecciano inevitabilmente: Ricky diventa il ragazzo di Jane ed il pusher di Lester. E sarà proprio questa sua “attività” che porterà alla morte di Lester. Una morte con tanti potenziali assassini: la vicenda si è talmente complicata che non è più solo Jane a volere l’uomo morto, ma anche Frank, che crede che l’uomo costringa il figlio Ricky a rapporti omosessuali, e Carolyn che, scoperta dal marito, viene lasciata dall’amante.

Lester, silenzio, ricordi che gli fluttuano in testa guardando una vecchia foto, colpo di pistola. Immagini, formuli ipotesi su chi possa essere stato e la risposta è, davvero, la meno scontata…



Le aspettative non sono state deluse. Il film è davvero ben fatto, la sceneggiatura non  è  mai scontata. I personaggi sono ben definiti e fanno si che lo spettatore, a seconda del sesso o dell’età, possa identificarsi.

Evidente la critica alla “bellezza” delle famiglie americane, solo apparente e condizionata dall’idea che in America sia tutto perfetto. In realtà, per quanto banale sia, “tutto il mondo è paese”.



“È una gran cosa quando capisci che hai ancora la capacità di sorprenderti ti chiedi cos'altro puoi fare che hai dimenticato!”

2 commenti:

  1. La busta di plastica e il dialogo sulla bellezza del mondo: una delle scene che amo di più!

    Baci,
    miss F.

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  2. Hai ragione, quella scena è da brividi!

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